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L'AVANGUARDIA DI ARCHIGRAM

Londra, 1960, un gruppo di architetti inizia a lavorare in una direzione diametralmente opposta rispetto ai loro contemporanei. I loro nomi sono: Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompton, David Greene, Ron Herron e Michael Webb, tutti collegati all’Architectural Association School of Architecture di Londra. Iniziano a firmarsi con il nome di Archigram, nome che deriva dalla combinazione delle parole “architettura” più “telegramma”.

Hanno dominato l’avanguardia architettonica negli anni che vanno dal 1960 alla prima metà del 1970 con le loro visioni giocose, pop, di chiara ispirazione futuristica, diventandone poi, i pionieri durante tutta la seconda metà del secolo.

Nel primo numero della rivista che porta il proprio nome “Archigram”, David Greene scrive: “Una nuova generazione di architettura deve nascere con le forme e gli spazi che sembrano respingere i precetti di moderno ma, che, in realtà, conserva quei precetti. Abbiamo scelto di bypassare l'immagine decadente del Bauhaus, che è un insulto al funzionalismo. L’acciaio si può stendere senza limiti di lunghezza. Si può far salire in aria un palloncino di qualsiasi dimensione. Si possono fare stampi in plastica di qualsiasi forma. I tizi che hanno costruito il Bridge Forth non se ne sono preoccupati”.

Peter Cook lo chiama: “un messaggio, o comunicazione astratta”. Il primo numero è stato pubblicato su un foglio di carta di grandi dimensioni e il più economico possibile. Questa uscita era piena di poesie e schizzi di progetti architettonici che fanno trasparire una certa frustrazione nei confronti del modo conservatore e intellettuale dell’architettura britannica dell’epoca. La rivista costava 9 pence e ne furono vendute 300 copie, acquistate per lo più da giovani studenti e apprendisti degli studi di architettura.

Nel 1963 è stato presentato un manifesto che rendeva chiara la loro “fede che vedeva la città come un organismo unico", che non viene vista solo come un insieme di edifici, ma come un mezzo per liberare le persone e farle abbracciare la tecnologia, consentendo loro di scegliere come meglio condurre la loro vite.

I loro princìpi erano fondati sull’ottimismo, sul rifiuto di essere incatenati a ciò che era il passato. Prendevano in giro gran parte del linguaggio architettonico che li circondava. Uno dei punti di forza era il retroterra culturale diverso dei componenti stessi del gruppo, il che, non faceva altro che accrescere gli entusiasmi nella gestione delle complesse analisi nei confronti delle città.

Si erano fatti portavoce di una vita da fantasie nomadi, sostenevano che un'architettura basata sulla mobilità e la malleabilità avrebbe potuto dare la libertà alle persone. I consumatori dovevano essere liberi di scegliere al meglio la tecnologia e di ottimizzarla rispetto alle loro necessità, un po’ come il senso di libertà e di stile vertiginoso personalizzato di un autostoppista post-beat.

Probabilmente il progetto più conosciuto è Plug-In City (progetto di Peter Cook del 1964) che ha offerto, a suo tempo, un affascinante nuovo approccio per l'urbanistica, invertendo le percezioni tradizionali del ruolo delle infrastrutture nella città. Una città che avrebbe dovuto essere collegata agli altri centri urbani tramite automobili, monorotaie, hovercraft e scale mobili. Delle strutture gonfiabili avrebbero protetto il centro della città dalle cattive condizioni meteorologiche. La popolazione della città avrebbe vissuto in capsule che si sarebbero potute spostare ovunque si volesse con l’ausilio di gru sopraelevate che sarebbero poi servite anche a smistare i beni necessari alla sommità dei tubi. L'arredamento delle abitazioni (capsule progettate da Warren Chalk nel 1964) sarebbe stato austero ma con ogni sorta di dispositivo tecnologico.

Peter Cook la definì “Una struttura modulare su larga scala, con vie d'accesso e servizi essenziali, edificabile su qualsiasi terreno. In questra struttura verranno inserite unità buone per tutti gli usi, e programmate in anticipo per l'obsolescenza. Le unità saranno collocate e sostituite per mezzo di gru che correranno lungo una rotaia all'apice della struttura. L'interno conterrà mezzi meccanici ed elettronici intesi per rimpiazzare il lavoro odierno. La stuttura base sarà costituita da un'intelaiatura diagonale di tubi di 2,75 metri di diametro, che si incroceranno a intervalli di 44 metri. Da ogni incrocio si dipartiranno otto tubi. In un tubo su quattro si troverà un ascensore veloce, oppure un più lento ascensore locale. Sempre uno su quattro servirà da via di fuga, e il tubo rimanente fungerà da condotto per beni e servizi. Anche i pavimenti saranno sospesi”. L’unità principale della città sarebbe dovuta essere l’elemento “capsula” a proposito del quale Peter Cook disse: “La capsula spaziale fu un'ispirazione da ogni punto di vista e mentre Plug-In City stava venendo sviluppata, divenne presto ovvio che questo tipo d'abitazione sarebbe stato l'ideale, incuneato e impilato in una struttura a torre. L'intera torre sarebbe stata organizzata per collocare gli elementi tramite una gru, e gli elementi obsoleti sarebbero stati aggiornati col progredire della tecnologia. Finalmente gli edifici potranno diventare animali, con parti gonfiabili e tubi idraulici e un piccolo ed economico motore elettrico. Potranno crescere e rimpicciolirsi, diventare diversi, diventare migliori".

Peter Cook, il leader del gruppo, dichiarò che “Il pranzo congelato pre-confezionato è più importante di Palladio” puntando a voler dire che il progresso tecnologico avrebbe influito sull’architettura favorendo la risoluzione delle complessità del momento abbracciando al meglio i bisogni della vita contemporanea.

Un’altra idea fù Instant City a proposito della quale Ron Herron disse: “Una città trasportata da autocarri o da un dirigibile con la possibilità di potersi dividere in più parti”. La città si sarebbe potuta creare dal nulla, o essere sovrapposta alla struttura di una comunità già collocata. Parte dell'opera sarebbe stata svolta da macchine-robot in grado di "infiltrarsi" in ogni dove. Come centrale operativa sarebbe stato utilizzato un edificio in disuso e teloni e porte gonfiabili sarebbero stati i principali elementi di costruzione in modo da facilitare l’eventuale smontaggio e rimontaggio in un altro luogo. Peter Cook: "Il progetto partiva dall'idea di portare ovunque il dinamismo di una metropoli, anche in un villaggio. I componenti sarebbero stati schermi audiovisuali, proiettori televisivi, furgoni, gru e luci elettriche".

Successivamente, fù la volta di Walking City (Ron Herron, 1964), le cui immagini presentavano strutture abitative lunghe 400 metri e alte 220 e poggiate su otto sostegni, che ne permettono gli spostamenti. Enormi macchine mobili di Walking City che sbarcano davanti a Manhattan, che emergono dal deserto o che appaiono dal mare di fronte ad Algeri. La loro ricerca architettonica non si ferma limitandosi alla gestione dell’ordinario e del fattibile, anticipa, anzi, la speranza che la professione possa finalmente proiettarsi verso l’utopia.

Archigram ha fatto venir fuori l'insoddisfazione per la situazione dell’epoca facendo sì che una generazione potesse far propria la sperimentazione architettonica per sognare scenari urbani alternativi.


riferimenti / references

Peter Cook, Warren Chalk - Archigram

Simon Sadler - Archigram: Architecture without Architecture

Dennis Crompton - A Guide to Archigram 1961-74 / Ein Archigram-Programm 1961-74

www.archigram.net